L’autrice è Susan Vreeland, la stessa de La Passione di Artemisia, che dopo aver tracciato il ritratto della grande pittrice italiana torna a regalarci il vissuto di un’altra donna dall’esistenza molto particolare.
E’ un viaggio geografico ma soprattutto un viaggio nel tempo, nella New York di fine ‘800. Una New York di carrozze, opera, progresso, che sembra Parigi ma siamo al di là dell’Atlantico, dunque qui la Belle Epoque è sostituita da industriali ed imprenditori, sono loro che stanno pian piano dando forma alla metropoli così come la conosciamo noi. Scopriremo così una New York dove il ponte di Brooklyn è nuovo di zecca, essendo stato inaugurato solo da poco, e dove iniziano ad innalzarsi i primi grattacieli, suscitando meraviglie e perplessità tra gli abitanti. Basti pensare al famoso Flatiron, il curioso grattacielo a pianta triangolare che fu chiamato così perchè richiamava l’immagine di un ferro da stiro: fu terminato nel 1902 e fa la sua comparsa nel romanzo. E poi, le prime automobili che pian piano affiancano le carrozze, le gite fuori porta in mezzo a prati che è impossibile immaginare nel reticolato ad altissima intensità abitativa che è oggi Manhattan. E Clara stessa, che, imasta vedova, abita in una pensione frequentata da artisti e intellettuali (e qui sembra di nuovo di respirare una certa aria parigina…).
Al centro di tutto, il lavoro quotidiano di Clara e delle sue colleghe che dà vita a oggetti sempre più sofisticati, ma si scontra anche con una società maschilista, con la crisi economica, con le questioni sindacali. E con quelle di cuore, ovviamente. Ed in tutte emergono i limiti e gli ostacoli che ancora frustrano le donne del tempo.
La storia di Clara in fondo, oltre ad essere il racconto di un’esistenza creativa e di una donna sulla via dell’emancipazione, è anche la storia di una contrasto, quello tra il talento artistico della giovane e la produzione in serie, quella industriale, che inizia a fare capolino e che scuote anche il mondo scintillante delle lampade Tiffany. E che lascia alla fine un sottile senso di amarezza come se, dopo aver immaginato per tutto il libro quei piccoli pezzi di vetro colorati e quelle figure leggiadre (sotto le mani delle Tiffany Girl nascono fiori, libellule, cavallucci marini, tralci di vite…) dovessimo rassegnarci al sopravvento degli oggetti industriali e del cattivo gusto estetico.
Abbiamo detto che Clara si staglia come figura di donna “progressista”, per il suo tempo, ma non spicca del tutto il volo: lei e le sue amiche si definiscono emancipate ma comunque non riescono a superare del tutto le convenzioni e le regole non scritte del tempo. In amore, ma anche sul lavoro. Perchè se anche gran parte del successo degli oggetti meravigliosi e delle vetrate che Tiffany espone nel suo negozio ma, soprattutto, al di là dell’Oceano, nell’Esposizione universale di Parigi, è merito di Clara e delle sue ragazze, nessuna di loro godrà di questo riconoscimento, nessuna raccoglierà i complimenti del pubblico che saranno indirizzati solo al signor Tiffany. E questo viene simboleggiato molto bene, nel romanzo, proprio dalle pagine che accennano al grande evento parigino. Accennano, appunto, perchè tutto ciò che accade lì è lasciato volutamente nell’ombra, quasi a voler lasciare il lettore all’oscuro come lo sono davvero le ragazze di Tiffany.