“Quello che rimane” è un libro che va letto tra le righe, le sue storie, che talvolta paiono allucinanti, “si scrivono così ma si leggono cosà”, sono storie che raccontano le menti delle persone, persone che potrebbero sembrare disturbate ma che chissà se lo sono o se, semplicemente, hanno paranoie e fissazioni diverse dalle nostre. D’altronde, come recita una citazione di Tiziano Sclavi riportata nel libro “per i fantasmi, i fantasmi siamo noi”.
Quello che rimane l’ho letto, e se potete fatelo anche voi, immaginando l’adorabile accento bolognese che di certo avrà il suo autore, Fabio Ognibene. Perchè letto “in bolognese” è tutta un’altra cosa.
Diciannove racconti straordinari quasi surreali, sospesi tra sogno e realtà, intrappolati nelle menti dei protagonisti, talvolta menzionati minuziosamente con nome e cognome. Come minuziose sono le raccolte dati dei protagonisti di alcuni dei racconti.
“Immobilità” mi ha fatto pensare all’uomo che sta difronte alla finestra di casa mia, costretto da un ictus. Tutto il giorno li fermo da anni a guardare fuori e oltretutto ha la sfiga di abitare in una zona residenziale con pochissimo movimento. “Ecco a cosa pensa” mi sono detta. Pensa al tempo, e magari ricorda minuziosamente i vari piccoli impercettibili eventi che solo lui ha il tempo di osservare, oppure vaglia i movimenti dei condomini del palazzo di fronte (me compresa) e annota mentalmente i nostri orari. Sarà sfortunato forse, lo è di certo, ma rispetto a noi, ora l’ho capito, può vedere quella foglia che si muove sempre e che nessuno nota mai.
“La lettera” catapulta in uno stato ansioso misto a curiosità, l’eccitazione del protagonista nell’attesa di una lettera, anzi DELLA lettera, l’abbiamo provata tutti e a molti di noi poi, inutile negarlo, la lettera non è mai arrivata. Lui non si è rassegnato, l’aspetta ancora. E’ solo questione di giorni, forse ore e poi arriva.
Nel racconto ” il giorno di Natale” mi ha divertito l’assurdità del tipo, fissato con la temperatura, che calcola quanto tempo potrà vivere, senza sfarzo alcuno, con l’eredità dei suoi genitori. Tutto è calcolato in base al patrimonio rimasto: se “vive” di più è fottuto, se “vive” di meno anche. Perché sarebbe davvero un peccato sprecare i soldi rimasti. E così “vive” secondo i calcoli. E nel frattempo è diventato impotente.
Ecco un altro elemento ricorrente nel libro: pene e relative misure. Ritroviamo il “membro” in diversi racconti, quasi sempre con la spada di Damocle dell’impotenza che, inesorabile, arriva sempre. La ritroviamo, ad esempio, nel racconto “Il giusto castigo”.
Impotenza, raccolta dati (temperature, orari, condizioni climatiche, misure di parti corporee), attesa e dubbio. Come il dubbio di un treno che si muove o meno che troviamo nel racconto “Quello che manca” che farà in modo che non vedrete più gli occasionali compagni di viaggio dello scompartimento del treno, che forse si è mosso e forse no, con gli stessi occhi di prima.
Fabio Ognibene ha saputo raccogliere in questo piccolo scrigno, in maniera geniale, le menti e le loro fissazioni, le angosce ed i timori, le assurde speranze e gli allucinanti pensieri. Non so come ci sia riuscito, forse un pò pazzo lo sarà anche lui.